Nuovo capitolo nell’inchiesta sul cosiddetto “caso Paragon”, che ruota attorno allo scandalo di presunto spionaggio informatico ai danni di diversi giornalisti italiani. La Procura di Roma ha disposto accertamenti tecnici irripetibili sui dispositivi telefonici di sette persone coinvolte come parti lese, tra cui figurano nomi noti del panorama mediatico come Roberto D’Agostino, fondatore di Dagospia, la giornalista olandese Eva Vlaardingerbroek, Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino, entrambi in forza a Fanpage.
Le operazioni, di natura particolarmente delicata, sono condotte in stretta collaborazione con la Procura di Napoli, anch’essa titolare di un fascicolo sulla vicenda. Le indagini, attualmente a carico di ignoti, ipotizzano reati gravi come l’accesso abusivo a sistemi informatici e quanto previsto dall’articolo 617 del codice penale in materia di intercettazioni illecite e installazioni abusive di dispositivi atti a captare comunicazioni private.
A margine degli sviluppi, la Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi) e l’Ordine dei Giornalisti hanno diffuso una nota congiunta in cui ribadiscono la necessità di trovare un equilibrio tra il diritto di cronaca e il doveroso rispetto della segretezza investigativa.
«In questa fase estremamente sensibile dell’inchiesta – si legge nella nota – riteniamo fondamentale garantire il massimo sostegno all’attività della magistratura, che ha saputo cogliere l’importanza e la gravità della denuncia da noi presentata sul presunto utilizzo illegale dello spyware Graphite».
Il sindacato e l’Ordine si dicono fiduciosi nel lavoro degli inquirenti e auspicano che l’inchiesta possa presto far luce su tre interrogativi cruciali: quanti giornalisti sono stati effettivamente spiati, da chi e per quale motivo.
Il caso, che ha scosso profondamente l’opinione pubblica e il mondo dell’informazione, si inserisce in un contesto più ampio di allarme per la tutela della libertà di stampa e della privacy dei professionisti dell’informazione.