Le origini dei Centri antiviolenza in Italia affondano le proprie radici negli anni ’60 e ’70, un periodo ricco di fermento e rivoluzione culturale, che ha visto la nascita dei primi movimenti delle donne. Dall’esperienza del femminismo, da collettivi, dall’Unione Donne Italiane (UDI) e da associazioni che hanno arricchito il panorama politico dell’epoca, emergevano i primi germogli di libertà, autonomia ed espressione.
Si sviluppava un desiderio impellente di liberarsi da condizionamenti e oppressioni sedimentati nel tempo nelle relazioni tra uomini e donne. La riflessione femminile sulle proprie esperienze di vita, mettendo in discussione ruoli tradizionali e aspettative legate alle differenze di genere, rappresentava il terreno fertile per la nascita di nuovi spazi di relazione tra donne. Questo era l’incipit della storia dei Centri antiviolenza, un percorso basato sulla consapevolezza della natura strutturale della violenza di genere.
La violenza contro le donne è riconosciuta come uno dei meccanismi sociali che perpetuano la subordinazione femminile. Il movimento delle donne, i gruppi di autocoscienza e il femminismo, con le sue riflessioni teoriche, hanno contribuito ad affermare che la storia di ogni donna è una storia universale. Cambiare le condizioni delle donne nella società significa provocare cambiamenti che coinvolgono tutti.
Emergono così le prime case rifugio, spazi di sicurezza in risposta al fenomeno dominante della violenza domestica. Questo diveniva un bisogno e un desiderio: trovare rifugio in luoghi protetti, dove iniziare a ricostruire la propria vita lontano dalla violenza.
Una sfida senza precedenti al potere maschile, considerato fino ad allora immutabile e assoluto, con il nucleo familiare come baluardo del dominio patriarcale. Queste prime esperienze di donne che sceglievano di lasciare la propria casa per sfuggire alla violenza e vivere con altre donne, rappresentavano una possibilità di sovvertire l’ordine patriarcale esistente.
A partire dal 1989, anno della nascita della prima Casa delle donne, in meno di un decennio in Italia sono nati 70 Centri Antiviolenza. Il 1996 segna un momento cruciale nella loro storia: a Ravenna si svolge il primo incontro tra questi Centri, un’occasione ricca di idee e di passione. Da quell’evento emerge la necessità di redigere una piattaforma di pratiche politiche condivise e di formalizzare la costituzione della Rete Nazionale dei Centri Antiviolenza, per unirsi in un fronte comune.
In tutti questi anni, i Centri hanno offerto servizi vitali alla società, aiutando le donne a riconoscere la violenza nelle relazioni, a percorrerne la giusta via d’uscita.
Oltre l’accoglienza: I Centri Antiviolenza come baluardi della trasformazione sociale
I Centri Antiviolenza, conosciuti come luoghi di rifugio, vanno oltre la mera accoglienza; questi centri si stanno evolvendo come incubatori sociali che nutrono speranze, competenze e iniziative. Questi luoghi non si limitano ad offrire un rifugio sicuro, ma lavorano incessantemente alla costruzione di relazioni e alla promozione di interventi di prevenzione e formazione su scala locale.
Il servizio di accoglienza, nonostante le sue complessità, diventa politico attraverso la costruzione di un patto con la donna ospitata e con tutti gli attori coinvolti nella rete territoriale. Questa rete, orchestrata dai Centri, si muove per rispondere alle esigenze specifiche di ogni donna. Forti della loro ricchezza di conoscenze ed esperienze accumulate nel corso degli anni, i Centri Antiviolenza sono riusciti a stabilire relazioni fruttuose con le istituzioni e con tutte le parti interessate nella prevenzione e nel contrasto alla violenza sulle donne.
Questa collaborazione multidisciplinare ha l’obiettivo di cambiare la narrativa riguardo la violenza sulle donne, non più vista come un’emergenza sociale da affrontare con misure di sicurezza, ma come un fenomeno antico e radicato nella società. Questa violenza maschile contro le donne è un problema profondamente radicato, risalente a un’umanità basata sull’affermazione di un solo genere, erroneamente considerato neutro.
L’aumento della visibilità di questo fenomeno è direttamente correlato alla crescente libertà e consapevolezza delle donne e alla presenza dei Centri Antiviolenza, che ne evidenziano l’entità.
Il concetto di violenza contro le donne, come definito, comprende una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione che include tutti gli atti di violenza basati sul genere. Questi atti possono causare o essere suscettibili di causare danni o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche o economiche, e comprendono minacce, coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia in pubblico che in privato.
La metodologia adottata dai Centri Antiviolenza affronta il concetto di violenza contro le donne in tutte le sue forme, collegandolo alle relazioni di coppia, alle rappresentazioni sociali dei rapporti di genere e al potere. In queste riflessioni, le donne dei Centri Antiviolenza hanno iniziato a interrogarsi sul significato del genere in ogni ambito, compreso quello lavorativo, sottolineando l’importanza di una prospettiva di genere nella comprensione della realtà.
La relazione come catalizzatore del cambiamento nei Centri Antiviolenza
Il dialogo tra la donna che si confida e quella che ascolta è la chiave per innescare un cambiamento significativo, una consapevolezza più profonda di sé stesse e delle proprie abilità nelle donne che frequentano i Centri Antiviolenza. Tuttavia, il loro obiettivo non è promuovere una metamorfosi dell’individuo, ma piuttosto facilitare un processo di autorealizzazione, supportando ciò che è realistico e possibile per la donna perseguire.
Invece di offrire soluzioni predefinite, i Centri forniscono un supporto personalizzato e informazioni adeguate, in modo che ogni donna possa trovare una soluzione che rispecchia al meglio le sue esigenze e la sua situazione. La metodologia adottata sottolinea l’importanza del consenso della donna in ogni azione intrapresa, che si tratti di una denuncia, una separazione o l’attivazione di servizi. In tutto questo processo, l’obiettivo è sempre promuovere il suo bene, permettendole di parlare di sé e offrendole l’opportunità di credere nelle sue capacità, il tutto nel rispetto della protezione, della riservatezza e dell’assenza di giudizio da parte degli operatori.
Contrariamente a una comune convinzione, la violenza contro le donne è un problema strutturale della società e non un’emergenza isolata con un inizio e una fine definiti. I Centri Antiviolenza, riconoscendo la violenza contro le donne e i loro bambini come una violazione dei diritti umani e un crimine penale, lavorano esclusivamente con le donne che subiscono violenza e mai, in nessuna circostanza, con chi ha perpetrato gli abusi.
Perché la violenza sulle donne è un problema politico-culturale?
Il termine “politico” può sembrare un concetto astratto e di difficile comprensione, tuttavia, sostenere che la violenza sulle donne sia un problema politico implica il riconoscimento che ciò che accade a livello interpersonale, principalmente all’interno delle mura domestiche, ha una portata che va ben oltre la singola vittima. Questo fenomeno, infatti, si inserisce in un contesto culturale e sociale più ampio che consente, e talvolta perpetua, la violenza sulle donne. In questo senso, ciò che accade a una singola donna diventa un problema che riguarda l’intera società.
Pertanto, affrontare la violenza domestica e sessuale diventa un impegno legittimo solo in un contesto che mette in discussione la subordinazione di donne e bambini agli uomini. La violenza sulle donne è, quindi, un problema politico e culturale, in quanto esiste un atteggiamento diffuso che tende a considerare la donna come “responsabile” e al tempo stesso “causa” della violenza che subisce.
Questa percezione errata che mette la responsabilità della violenza sulle spalle delle vittime, attribuendo la colpa a caratteristiche femminili come l’attrattività fisica o il comportamento emancipato, contribuisce a sottrarre responsabilità al genere maschile, rinforzando stereotipi dannosi come l’idea che gli uomini siano intrinsecamente possessivi, malati, alcolisti e così via. Questi preconcetti rappresentano barriere significative da superare e necessitano di un approccio politico e culturale per essere efficacemente affrontati.
I fondamenti della metodologia di accoglienza nei Centri Antiviolenza
La strategia implementata negli anni dalle squadre dei Centri Antiviolenza richiede di superare metodi tecnici standardizzati e prefissati, prediligendo un approccio che si fonda sulla fiducia nel racconto della donna e sulla relazione che si instaura con essa.
La metodologia di accoglienza, evoluta nel tempo e validata dalle principali organizzazioni internazionali impegnate nella protezione delle donne vittime di violenza, si basa sull’empowerment, ovvero il rafforzamento dell’identità femminile, e sulla reciproca relazione tra donne.
La violenza subita dalle donne, le sue conseguenze e le sue manifestazioni, non devono essere considerate come fenomeni uniformi o dati oggettivi, così come i sintomi presentati non devono essere visti come semplici oggetti su cui applicare le competenze professionali.
L’approccio di rete sui singoli casi viene svolto in collaborazione con la donna e non dovrebbe prevedere un ruolo predominante per le forze dell’ordine, se non nel momento della protezione e della tutela.
Il modello di rete adottato dovrebbe essere “aperto”, permettendo l’inclusione di nuovi “nodi di servizio” oltre a quelli già identificati, e garantendo un intervento integrato che coinvolga e sfrutti tutte le risorse disponibili nella rete locale. Questo permette di rispondere in maniera complessiva alla molteplicità di problemi che la donna può presentare.
In definitiva, la rete dovrebbe essere antiburocratica, flessibile e centrata sulle esigenze della donna e dei suoi figli.
Prerequisiti per un’efficace rete di contrasto alla violenza
Gli elementi essenziali per una rete antiviolenza efficace includono:
- L’adozione di un linguaggio comune che superi le spinte individualiste. Il linguaggio deve essere chiaro e comprensibile a tutti, evocando letture condivise per identificare inequivocabilmente la violenza e fornire un aiuto concreto alle vittime. Un linguaggio comune facilita la condivisione di un approccio unitario nel contrasto alla violenza, l’adozione di linee guida operative condivise e la definizione di procedure comuni tra organismi differenti, anche attraverso protocolli d’intesa o l’avvio di progetti inter-istituzionali;
- La disponibilità a lavorare in rete, creando collegamenti tra forze diverse che, pur mantenendo la propria autonomia e specificità, perseguono obiettivi comuni. Lavorare in rete implica per ogni operatore la creazione di sinergie, l’integrazione delle proprie competenze e la comprensione approfondita del proprio territorio per raggiungere un obiettivo condiviso;
- L’utilizzo di una metodologia integrata di presa in carico da parte di vari servizi, che preveda sempre un unico progetto di uscita dalla violenza, condiviso con la donna e nel rispetto della sua autodeterminazione;
- Il rispetto dell’autonomia e dell’autoregolazione dei singoli attori della rete, assicurando comunque un collegamento con il Centro Antiviolenza che, in collaborazione con i servizi sociali, dovrebbe avere un ruolo di supervisione e coordinamento.
I Centri che operano in situazioni di emergenza offrono una disponibilità h24, mentre gli altri Centri Antiviolenza si organizzano localmente, integrandosi con l’emergenza sociale, le forze dell’ordine e i pronti soccorso ospedalieri.
Servizi forniti dai Centri Antiviolenza
I Centri Antiviolenza offrono una gamma di servizi essenziali:
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Assistenza telefonica: Generalmente il primo contatto avviene via telefono, strumento molto efficace per superare la vergogna associata alla violenza e garantire l’anonimato. Questo servizio è fondamentale per capire le esigenze delle vittime e fornire le prime informazioni;
- Colloqui di accoglienza: Tali incontri sono mirati all’analisi della situazione e dei bisogni della donna, e alla pianificazione di un percorso per uscire dalla violenza. L’intervento è di tipo relazionale o psicosociale, non terapeutico, e comprende una serie di colloqui periodici, di durata variabile, in base alle necessità della donna. L’obiettivo è fornire uno spazio alla donna per parlare di sé, per elaborare le proprie esperienze di violenza e superare il trauma. Qualsiasi azione intrapresa, dall’attivazione di servizi, alle possibili denunce, separazioni, ecc., è sempre concordata con la donna e realizzata nel suo interesse, garantendo protezione, riservatezza, anonimato e non giudizio;
- Consulenza legale: i Centri offrono consulenza legale di primo livello in collaborazione con avvocate esperte;
- Consulenza psicologica: se ritenuto necessario, vengono offerti servizi di consulenza psicologica;
- Assistenza per la ricerca di un alloggio: i Centri assistono le donne nella ricerca di soluzioni abitative;
- Supporto per l’inserimento lavorativo: aiutano le donne nella ricerca di lavoro e nella formazione, offrendo servizi come consulenza e sportello lavoro;
- Supporto nell’uso dei servizi, nelle procedure amministrative e burocratiche, e nel percorso giudiziario;
- Gruppi di sostegno e di auto-aiuto;
- Interventi specifici per donne migranti e vittime di sfruttamento sessuale e tratta;
- Alloggio temporaneo in case rifugio: Se necessario, le donne possono essere accolte per periodi prestabiliti in luoghi sicuri e protetti.
Progetti dedicati ai figli delle vittime di violenza assistita: Le donne spesso hanno figli che sono a loro volta vittime di violenza diretta o assistita. I Centri offrono servizi specifici per questi casi.
I Centri elaborano programmi di ripristino del rapporto tra madri e figli danneggiati dalla violenza, in quanto tale violenza può avere effetti devastanti sulla relazione tra madre e bambino. All’interno dei Centri, i bambini spesso seguono percorsi di recupero eccellenti, acquisendo nuovi modelli di pensiero e comportamento, e costruendo un forte legame di fiducia e alleanza con la madre, che rappresenta il solo genitore protettivo. Tuttavia, si può verificare un contrasto con la realtà giuridica, poiché nei casi di separazione la legge prevede l’affidamento condiviso.
In situazioni di violenza, l’affidamento condiviso non dovrebbe essere la norma. In Italia, purtroppo, la violenza viene spesso confusa con il conflitto e nella separazione si considera la possibilità dell’affidamento congiunto al padre violento. Questo può portare il padre a utilizzare il bambino per continuare a esercitare abuso e controllo sull’ex partner. La violenza nei confronti delle madri e dei bambini non cessa con la separazione e, quando i bambini esprimono il desiderio di non vedere più il padre, psicologi, psichiatri e avvocati si riferiscono alla cosiddetta Sindrome di Alienazione Parentale (PAS).
Questa presunta “sindrome psichiatrica” suggerisce che la madre manipola il figlio inducendolo a rifiutare il padre e che eventuali denunce di abusi paterni sarebbero false. La PAS viene spesso citata come causa di ostacoli nei programmi di visita al genitore non custode come se fosse una diagnosi clinica scientificamente dimostrata. Tuttavia, si tratta di un concetto proposto da Gardner, ma non vi sono prove scientifiche affidabili a sostegno della sua esistenza. È basata solo su alcune osservazioni cliniche di Gardner e viene “diagnosticata” secondo i criteri da lui stesso formulati, mai confermati da studi controllati. (da “La violenza sulle donne e i minori, una guida per chi lavora sul campo”, Romito, Melato, 2013).
In nessun caso, nelle situazioni di violenza, si dovrebbe ricorrere a tecniche di mediazione familiare.
Le figure professionali che operano nei Centri
Le professionalità coinvolte nei Centri, come l’operatrice di accoglienza, la psicologa, la legale e la ginecologa, non si distinguono principalmente per il loro ruolo professionale, ma interagiscono tra di loro come donne. Viene creata un’equità tra la donna che condivide la sua sofferenza e la sua esperienza di violenza, e la donna che ascolta e fornisce sostegno a entrambe, creando un circolo virtuoso di energie positive.
Il Centro rappresenta un passaggio verso l’autonomia e lo sviluppo personale, un luogo per sfuggire alla violenza e avvicinarsi alla libertà. L’episodio di violenza vissuto da una donna non è un fatto ineluttabile e senza possibilità di ritorno: l’obiettivo è dare fiducia per ricevere fiducia e costruire insieme il percorso verso la liberazione.
Le donne, sia volontarie che retribuite, sono in continua formazione specifica sulla violenza, con una supervisione continua per gestire i rischi di traumatizzazione secondaria e burnout. L’ingresso di nuove volontarie richiede un corso di formazione di almeno tre anni, con periodi di affiancamento.
Una figura centrale nella vita del Centro è l’operatrice, che deve possedere una formazione fondamentale nel campo del femminismo, dell’empowerment e delle politiche di genere. L’operatrice può avere competenze specializzate in determinati settori di intervento: ad esempio, può essere un’operatrice di accoglienza per i colloqui individuali, una conduttrice di gruppi di sostegno, un’operatrice per le donne o per i bambini ospiti nella Casa, per i progetti di uscita dalla prostituzione forzata, per l’accompagnamento al lavoro, per la formazione e la sensibilizzazione, la mediazione culturale in caso di donne straniere, ecc.
L’organizzazione interna dei Centri antiviolenza si basa sull’empatia e sulla normalità. Non esistono modelli organizzativi prestabiliti nei Centri, il che richiede un elevato senso di responsabilità nei confronti del servizio, fiducia e disponibilità reciproca, e una costante attività di confronto e verifica. Ruoli e funzioni, e diversi gradi di responsabilità, si adattano alle circostanze, alle necessità e alle emergenze delle donne.
Il Centro
Il raggiungimento di un Centro Antiviolenza per le donne rappresenta la scoperta di un luogo familiare e accogliente, simile alla normalità “positiva” della vita di tutti i giorni, e quindi non immediatamente riconoscibile come uno spazio dedicato al supporto nel disagio. Le competenze professionali presenti sono applicate in modo flessibile, rispettando l’esperienza di chi è in sofferenza e le capacità della donna di esprimere la propria individualità.
La donna che si rivolge ai Centri è l’attore principale del suo percorso verso la liberazione dalla violenza, un percorso che la guida a riprendere il controllo della sua vita. Il team del Centro collabora con lei, non per lei, per elaborare un progetto di rinnovamento e riorganizzazione della sua vita, senza mai prenderne il posto. L’assistenza fornita alla donna non è di natura puramente assistenziale. Infatti, l’assistenza da sola, sebbene offra soluzioni immediate, lascerebbe la donna in una posizione passiva.
I Centri aiutano la donna a ritrovare il coraggio e la forza necessari per sviluppare un piano di vita futuro realistico che protegga la sua salute psicofisica e quella dei suoi figli. Questo lavoro inizia dall’analisi della propria storia personale, dai sensi di colpa, dall’esperienza di violenza, al fine di riacquistare un livello di autostima e assertività tali che le permettano di affrontare e superare le difficoltà. Da qui parte il cammino verso l’autodeterminazione femminile, al di fuori della violenza di genere.
I servizi offerti alle donne dai Centri sono profondamente orientati al genere, progettati per soddisfare le esigenze delle donne nel superamento del trauma, nella loro protezione, e nel supporto con professionisti adeguati nel processo di creazione di un nuovo progetto di vita per loro e i loro figli.
È fondamentale condividere principi comuni, basati su un’interpretazione sociale del fenomeno della violenza contro le donne, visto come il risultato di una costruzione culturale, quindi non necessariamente legato a una patologia individuale del maltrattante o della donna, ma piuttosto come conseguenza della disparità di potere tra uomini e donne. Ai Centri, le donne e i loro figli minori sono garantiti:
- Spazi e servizi dedicati e adeguatamente protetti, che non sono utilizzati per altri scopi o altri gruppi di utenti; gli autori della violenza non sono ammessi;
- Supporto specifico per liberarsi dalla violenza, superare le esperienze traumatiche, riconquistare l’autonomia e l’autodeterminazione e gettare le basi per una vita indipendente;
- Anonimato e riservatezza: tutte le operatrici, le volontarie e le stagiste si impegnano a rispettare la privacy delle informazioni personali relative alle donne e ad aderire all’obbligo morale di seguire i principi ispiratori dell’intervento (lavorare con il consenso e per il beneficio della donna; fornire protezione, ecc.).
I Centri Antiviolenza come incubatori sociali per prevenire la violenza contro le donne
I Centri agiscono come promotori di cultura e formazione a vari livelli per sensibilizzare, incoraggiare e prevenire la violenza degli uomini contro le donne. In effetti, tutti i centri sono impegnati in diverse attività, tra cui:
- Collaborazione e coordinamento con servizi pubblici e privati presenti a livello locale, contribuendo a fornire sicurezza, protezione e assistenza alle donne (pronto soccorso, servizi sanitari e sociali, forze dell’ordine, autorità giudiziarie, associazioni, ecc.) con l’obiettivo di ottimizzare e coordinare il percorso di uscita dalla violenza;
- I Centri progettano e realizzano percorsi di formazione sia per il personale interno che per i soggetti esterni (come medici, forze dell’ordine, assistenti sociali, insegnanti, ecc.) e forniscono consulenza per gli operatori di altri servizi;
- Attività di promozione e prevenzione nelle scuole per influenzare a lungo termine l’aspetto culturale/strutturale della violenza di genere; organizzazione di eventi;
- Sensibilizzazione, diffusione di buone prassi e campagne di prevenzione sul territorio contro la violenza maschile, per rispondere alla necessità immediata e pratica di sensibilizzare e rafforzare la rete di servizi locali;
- Promozione della ricerca (studi qualitativi e quantitativi), anche attraverso la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi alle donne che accedono al Centro, garantendo il massimo rispetto della privacy;
- Promozione di politiche e piani d’azione locali, nazionali e internazionali contro la violenza, interagendo con le amministrazioni nazionali, regionali e locali.
In ogni aspetto delle loro attività (infrastrutture, metodologie di intervento, personale, standard minimi), i Centri Antiviolenza si riferiscono ai principi elaborati a livello internazionale e nazionale dalle esperte del movimento delle donne, accolti dalle direttive e raccomandazioni sulla violenza contro le donne da organismi internazionali come l’UE, le Nazioni Unite e l’OMS.